Per i Cristiani uccisi in Africa non c’è nessun Black Lives Matter

Mentre l’Occidente progressista si strugge per l’uccisione di un nero negli Stati Uniti, decine di migliaia di neri sono vittime di persecuzioni anti-cristiane in Africa. Per loro, tuttavia, non viene inscenata alcuna mobilitazione di massa.

Non si registrano cortei, campagne social, solidarietà delle multinazionali o atleti in ginocchio per i seguaci di Cristo vessati, incarcerati, torturati, massacrati. Sarà che forse i loro persecutori hanno la pelle nera o che la loro causa non genera profitti né si presta a strumentalizzazioni ideologiche e politiche, sta di fatto che il calvario dei cristiani d’Africa è avvolto nell’oblio.

Eppure, i numeri della persecuzione sono spaventosi. Li svela nel suo periodico rapporto la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. L’ultimo, che risale all’ottobre scorso e raccoglie fatti avvenuti nel biennio 2017-2019, rivela che tra i 20 Paesi al mondo in cui desta più preoccupazione la condizione dei cristiani, 8 si trovano nel Continente Nero: Egitto, Eritrea, Sudan, Repubblica Centrafricana, Camerun, Nigeria, Niger, Burkina Faso. Sotto la linea del Sahara il jihadismo islamico è penetrato come una calamità: dei 18 sacerdoti e una suora uccisi nel 2019, ben 15 sono stati assassinati in Africa.

In Paesi come la Nigeria, dove imperversano i terroristi di Boko Haram e i nomadi Fulani, si svolge un vero e proprio circo degli orrori. Nelle prime settimane del 2020 sono stati diffusi in Rete video raccapriccianti: undici cristiani bendati e poi decapitati dai miliziani, stessa sorte per una donna in abito da sposa e per le sue damigelle poco prima di entrare in chiesa per il matrimonio a Maiduguri, nello Stato di Borno. E poi, ancora, un giovane ucciso con un colpo di pistola alla testa sparato da un bambino soldato. La Nigeria si conferma – rivela l’organizzazione Open Doors – il luogo al mondo in cui vengono uccisi più cristiani.

Secondo il rapporto dell’intergruppo parlamentare per la libertà religiosa di Westminster, dal 2015 ne sono stati ammazzati oltre 6mila, 600 soltanto nei primi mesi del 2020.
Nell’introduzione al testo, il presidente dell’intergruppo, Jim Shannon, parla dell’islamismo come di una “ideologia distruttiva e divisiva che porta a crimini contro l’umanità e che può spianare la strada verso il genocidio. Non dobbiamo esitare a dirlo”.

Ma il termometro della persecuzione non si misura soltanto con il sangue, che pure sgorga a fiotti. L’oppressione che insidia la sequela di Cristo stringe pure le catene sui polsi. Centinaia di persone sono in prigione in Eritrea con la sola “colpa” di essere cristiani. Per lo più si tratta di appartenenti a gruppi evangelici, ma non è affatto serena la condizione cui soggiacciono i cattolici. Tra giugno e luglio dello scorso anno il feroce regime di Asmara ha confiscato 22 strutture sanitarie cattoliche e, nei mesi successivi, ha messo le mani anche su delle scuole affidate ai gesuiti.

“Il tutto – denuncia una fonte locale ad Aiuto alla Chiesa che Soffre – avviene nell’indifferenza. Ma il mondo ci vede? Oppure si accorge dell’Eritrea soltanto quando si parla dei nuovi migranti che giungono sulle coste italiane?”.

Questo è un punto nevralgico della questione. L’instabilità dell’Africa provoca emorragie che premono sulle coste settentrionali del Mediterraneo. Un’Europa che assiste indifferente alla persecuzione dei cristiani africani non soltanto compie un’opera di omissione morale, condanna anche sé stessa a subirne gli effetti in termini di ondate migratorie.